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Suono delle macchine – il suono dell’alienazione, o come proiettarsi fuori dal tempo e dallo spazio con un paio di cuffie

Suono delle macchine, exmachina

Suono delle macchine. Aphex Twin, Autechre, Boards of Canada. Tre nomi, tre sonorità, differenti trame. E due fili conduttori: L’Intelligent Dance Music e la macchina mutante. Viaggio accelerato in Exmachina di Valerio Mattioli.

Suono delle macchine

I differenti piani evolutivi e cangianti della musica elettronica (suono delle macchine) sono una delle chiavi per leggere le trasformazioni del contemporaneo, uno specchio che genera e riflette le mutazioni tecnologiche, le mode e gli habitus sociali, e, perché no, le forme ed i modi di abitare e vivere gli spazi. Valerio Mattioli, che già con la precedente operazione narrativa ‘Remoria’ aveva riscritto la storia della città di Roma miscelando con potenza immaginativa allucinatoria- miscela estremamente interessante ed esplosiva!- subculture underground, musica industrial, scritture minori, esperimenti filosofici, con ‘Exmachina’ porta il proprio bagaglio di theory-fiction un passo oltre.

L’oltre è il rapporto ambivalente tra uomo e tecnica, macchina in senso stretto, declinato da una angolatura particolare. Storicamente, uno dei locus centrali della riflessione su questo argomento è il discorso filosofico, ovvero la tecnica come articolazione materiale della poesis umana, come protesi della potenza oggettivata nella forza-lavoro. Essa entra in gioco anche come vero e proprio surrogato dell’umano nelle visioni e nelle letture più distopiche. Tra le righe e nelle parole della scrittura di Mattioli essa diventa tutt’uno con la musica come potenza aliena, estranea e allo stesso tempo magnetica e attraente, con cui bisogna necessariamente fare i conti.

IDM

Oggetto specifico del libro è l’Intelligent Dance Music (IDM), ovvero la più radicale evoluzione della musica elettronica, e soggetto è la Warp Records, l’etichetta discografica che ha dato il via a questa rivoluzione sonora e ha lanciato i suoi più importanti esponenti. Ulteriormente, le tre parti del libro trattano dei nomi e delle musiche di Aphex Twin, gli Autechre e i Boards of Canada, artisti che, come scrive Simon Reynolds nella prefazione, rappresentano uno specifico Zeitgeist, una soglia oltre cui non è possibile tornare indietro se non nei termini della nostalgia, della simulazione o della mistica ricerca dei bei tempi andati.

Queste brevi note, che non vogliono e non possono essere un riassunto della materia psicoattiva che trasuda il libro, e neanche possono ambire ad avere i crismi di una recensione critica, giornalistica, musicale o letteraria che dir si voglia. Essi sono invece l’assemblaggio dei pensieri e delle emozioni che il combinato disposto della lettura con l’ascolto e con alcune riflessioni volte a contestualizzare anche la forza dirompente di questi oggetti sonori.

Riflessioni

La prima di queste riflessioni riguarda la cesura che l’Idm opera rispetto al proprio stesso campo sonoro e subculturale di gestazione e di riferimento, quello dell’industrial e della techno. Qua entra in gioco la macchina, quella che Mattioli definisce xenoagente, ovvero entità esterna ed aliena che tende alla smaterializzazione dell’attività corporale legata all’ascolto. Questo passaggio può essere ‘visualizzato’ attraverso una carrellata di immagini, per renderne l’effettiva potenza. La prima immagine è quella dell’edonismo sovversivo di Genesis P-Orridge, le performance trasgressive e autolesioniste di John Balance, l’ironia marziale dei Laibach da un lato.

La seconda riguarda la tardiva ripresa delle sperimentazioni hippie nella ‘Seconda Summer of Love’ della stagione dei rave in Europa, con tutto il suo portato di vagheggiamenti mistici legati al consumo di Mdma e di stimolanti atti a generare amore universale per gli umani e per la natura. Insieme a queste due si può considerare anche la costruzione di una vera e proprio cultura della performance e del godimento nell’esplosione della clubbing culture.

Synth

Da Stockausen ai Kraftwerk

Nell’Idm non c’è traccia di tutto ciò, ma solamente di una progressiva eliminazione di qualunque movimento fisico come conseguenza reattiva all’ascolto della musica, che si ricollega invero ai puzzle rumorosi e futuristici di E.Varese, alla musica colta di Stockhausen e alla bellezza robotica dei Kraftwerk. La materia sonora è essa stessa soggetto, secondo i canoni dell’Object Oriented Ontology, una cosa che parla e immerge l’ascoltatore in una vera e propria esperienza estatica.

Mattioli prende sul serio l’alienazione come esperienza di vita dentro l’estinzione come forma di abbandono filosofica alla forza aliena della macchina, come attrazione magnetica nei confronti della voce di una Cosa numinosa e terribile. Tra le righe si legge chiaramente l’influenza delle elaborazioni di Nick Land, di Eugene Thacker, di Tristan Garcia, di Reza Negarestani sulla potenza dell’astrazione e del negativo.

L’astrazione musicale, in questo senso, è un prodotto fenomenico di una ben più radicata potenza di astrazione insita nel rapporto tra sociale e tecnologica. Questa consiste nell’intensificazione e nell’accelerazione dell’uso delle macchine, o in una più trascendentale combinazione dell’umano e della macchina il cui scopo è l’inumano, il superamento dell’umano e la sua automatizzazione completa. Questa pasta filosofica, direttamente ed indirettamente, costituisce e plasma la materia musicale degli artisti di cui Mattioli scrive, a cavallo tra esperienza, immaginazione e realtà. Essi sono il prodotto delle rovine della civiltà industriale, del fallimento di quella post-industriale, e i bagliori di ciò che ci aspetta nell’infinita attesa dell’ultima escatologia della società dello spettacolo e della cultura pop, ovvero l’estinzione.

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Aphex twin: suono delle macchine

Il primo, Aphex Twin, è il trickster, l’astuto ingannatore che mostra la potenza della macchina musicale, la figura prometeica che ruba il fuoco della grammatica elettronica delle sperimentazioni colte e la trasforma in fenomeno di massa. Il rubicondo artista della Cornovaglia, terra di miniere, di misteri e di demoni sotterranei (le legioni sotterranei di xeno-demoni descritte da Negarestani in quel capolavoro che è Cyclonopedia) trasforma la mobilitazione continua fisica e musicale dei rave in esperienza musicale complessa, da gustare in cuffia e soprattutto nella comodità di una stanza (preferibilmente al chiuso ed al buio) preferibilmente con qualcosa da fumare. Questa è l’immagine di copertina di ‘Artificial Intelligence, disco simbolo della Warp che funge da vettore di enunciazione di questo insieme di rumori. E questo è il suono di Richard David James e di tutti i suoi molteplici nomi.

Nelle sue mani e nel suo macchinario il beat si distorce, si moltiplica, i bassi sono cangianti, le melodie da bucoliche diventano geometriche, la placida successione di pattern spinge via via tra le braccia dell’orrore, delle urla e rende necessaria la fuga, ovviamente verso un’altra traccia con cui lo stesso percorso si ripeterà. Se la foresta dei rave è il ritorno ad una sorta di umanità incontaminata e a diretto contatto con la natura, in cui la musica e gli additivi chimici fungono da vettore di ricongiungimento con quest’ultima, i detriti e gli spazi claustrofobici, ovviamente le cuffie, sono gli ambienti ideali per questa musica intelligente.

Suono delle macchine – il suono dell’alienazione, o come proiettarsi fuori dal tempo e dallo spazio con un paio di cuffie ultima modifica: 2022-10-21T08:58:35+02:00 da VINCENZO DI MINO

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