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Paolo vive e (purtroppo) anche la mafia

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Palermo 19 luglio 2019. È passato oltre un quarto di secolo dalla strage di via D’Amelio dove è morto Paolo Borsellino e cinque componenti della sua scorta, Emanuela LoiAgostino CatalanoVincenzo Li MuliWalter Eddie Cosina e Claudio Traina. La macchina caricata di tritolo da uomini di mafia, l’esplosione, il fumo intenso, pezzi di cadaveri ovunque, l’orrore annunciato.

Borsellino Falcone Big

L’isolamento di chi fa il proprio lavoro

Siamo informatissimi sulle espressioni, le massime, e conosciamo a memoria l’immagine iconica dei due giudici e amici, Falcone e Borsellino. Ma è l’inesorabile abbandono di questi uomini di legalità che va sottolineato per comprendere come è potuto accadere il tragico evento del 1992 che oggi compie ventisette anni. Un abbandono, quello perpetrato ancora oggi, che è causa di corrosione, non solo strettamente siciliana, ma dell’intero sistema Italia.

Corruzione, malaffare e una cultura “deviata”

Quando negli ambienti dirigenziali, fino ai funzionari statali meno retribuiti, s’infiltrano la corruzione e il malaffare, la macchina amministrativa smette di assolvere alla propria funzione indirizzata alla collettività. Accadono in un climax inarrestabile: il favore, il mancato provvedimento, l’accordo tra l’imprenditore e l’uomo di politica, e così via. Si innescano meccanismi sempre più grandi e dannosi per singole persone e soprattutto per un’intera comunità. Questa pericolosa dinamica è una dittatura degli affari criminali sulla macchina statale. La mafia non è democratica: favorisce alcuni piuttosto che altri, da a manciari a qualcuno piuttosto che a un altro. La mafia si sostituisce alla burocrazia costringendo alla “protezione”.

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Fu una domanda inevasa di sgombero della via D’Amelio dalle autovetture, rimasta ignorata per i venti giorni precedenti all’attentato, a consentire che quella Fiat 126 esplodesse proprio davanti a Borsellino. Una pratica non sbrigata su indicazione, un favore mafioso, un accordo ad alti livelli rimasto nell’ombra.

Promemoria: la mafia è nemico numero uno di ogni governo

Che cosa è questa “mafia”? È un comportamento scorretto e sovversivo rispetto all’ordinamento democratico dello Stato. È un’idea che si distrugge con un altro pensiero, altrettanto forte: la cultura della legalità. Fin quando quest’ultima non sarà più conveniente – per se stessi, per la comunità, per il futuro dei propri figli – la mafia non si potrà sconfiggere. Non si tratta di un mito (ripensando a “visionarie” analisi del passato in cui la mafia non esiste) e non si tratta propriamente di un nemico fisico. Evasione fiscale e corruzione a più livelli fanno andare i colpevoli in carcere ma il nemico più grande, il pensiero mafioso, rimane a piede libero.

Sopraffazione, l’idea da sconfiggere

Esiste la tendenza ad accaparrare beni e ricchezze, sempre di più, a sfavore degli altri individui all’interno della comunità. Il profitto miete vittime anche in Sicilia. Il dio denaro attrae l’uomo e lo rende autore di sopraffazione e di indebito vantaggio sull’altro. Profitto a tutti i costi, anche se a morire devono essere persone che invece remano contro questa corrente di ingiustizia e avidità. È anche per questo motivo che la mafia è un’idea difficile da sconfiggere: supera gli ostacoli burocratici, amministrativi, morali, umani. Viene inoltre confusa per il latitante di turno. Viene additata erroneamente come la causa dell’arretratezza economica siciliana – un facile scaricabarile politico questo – o data per sconfitta, grazie a un clamoroso abbaglio storico di alcuni, solo durante il Fascismo.

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Oggi la mafia è corruzione, collusione, favoreggiamento, contrabbando, estorsione, violenza fisica e psicologica. Era siciliana, ma come tutte le aziende più floride, si è globalizzata. Paolo, insieme a tutti gli innumerevoli uomini di legalità caduti – e tutti coloro che la combattono – vive per vincere la sfida più grande: convincere che rispettare la legge conviene. E per farlo servono tante azioni concrete, dimostrazioni che i “cattivi” pagano e la pagano cara, non solo i boss da telefilm sparatutto. La memoria, le icone della legalità sono piccoli tasselli del complesso processo di riconquista della società, soprattutto quella che vive più in periferia e più facile da attirare nel facile profitto sotto il controllo mafioso. La Sicilia sarà malinconica e diffidente, ma non è immobile, sia storicamente che nel presente. Come ogni regione di uno stato unitario non deve essere abbandonata a se stessa o relegata a miti e tradizioni ammuffite che la isolano e la rendono più isola di quanto già sia.

 

Paolo vive e (purtroppo) anche la mafia ultima modifica: 2019-05-15T19:02:21+02:00 da Daniele Monteleone

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