L’epidemia più famosa della storia palermitana: la peste e le ossa della “Santuzza” – itPalermo

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STORIA

L’epidemia più famosa della storia palermitana: la peste e le ossa della “Santuzza”

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Maggio 1624: sono passati appena 50 anni dall’ultima epidemia di peste e a Palermo è tornato il terrore del nemico invisibile. La storia si ripete: per l’ennesima volta il mare porta la peste dentro la città. Un’imbarcazione proveniente da Tunisi attracca ricca di merci e, purtroppo, di malati. La lezione di mezzo secolo prima e il “manuale” del protomedico Gianfilippo Ingrassia serviranno, in una città popolosissima come Palermo, a non causare un’ecatombe. Il tocco “divino” contro la peste, inoltre, fa di questo evento storico uno dei più importanti della tradizione cittadina.

Come arrivò la peste a Palermo

Era precisamente il 7 maggio. Il viceré Emanuele Filiberto di Savoia ordina di procedere allo sbarco del galeone appartenente all’ordine di Santa Maria della Redenzione dei Captivi, “patentato” dal consolato francese e dalla Deputazione di Salute di Trapani, città dove aveva fatto precedentemente tappa. In poche parole, il galeone era sicuro sulla carta. Quello nordafricano era stato segnalato come “porto sospetto” ma, data la documentazione nautica, la nave poté entrare in porto. Solo successivamente si scoprì che la prima patente, quella ottenuta dal consolato francese in Tunisia, fu (doppiamente) falsificata dal commissario dell’ordine dei Captivi e che alcuni malati morti a bordo furono gettati in mare per evitare di essere bloccati a Trapani. Qui infatti il galeone riuscì a sostare ma solo dopo alcune resistenze amministrative all’attracco. L’arrivo a Palermo fu un invito a nozze per il virus pestilenziale.

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Il Monte Pellegrino dipinto da George Loring Brown (Museum of Fine Arts a Boston)

Primi casi di peste, sospetti e impreparazione

I primi casi di peste a Palermo vennero registrati nel quartiere “Fieravecchia”. In vicolo Cefalà, non molto distante dal porto, morirono quattro persone venute a contatto con della «roba infetta» portata in città. Dal funerale di uno di questi derivarono altri contagi e altre morti con bubboni sul corpo. Il virus non fu riconosciuto immediatamente, e non scattò nessuna misura nel primo mese dopo lo sbarco nonostante le decine di morti in poco tempo.

Prime vittime illustri

Il 24 giugno la città venne dichiarata «infetta» e le porte cittadine controllate dalle autorità. Iniziava ufficialmente la lotta alla peste in una Palermo che di lì a poco si sarebbe ritrovata improvvisamente orfana del viceré Emanuele Filiberto e del generale degli eserciti, entrambi uccisi dal virus fra luglio e agosto.

I protagonisti della lotta alla peste

Le prescrizioni del protomedico racalmutese Ingrassia – colui che riuscì ad applicare efficaci provvedimenti durante la peste del 1575, contenendola di fatto e bloccandola nel giro di un anno – costituirono il modello comportamentale da cui si partiva durante l’epidemia del 1624. Stavolta però, tra i medici deputati della Sanità della città di Palermo, spicca il nome di Marco Antonio Alaymo. Il medico compaesano di Ingrassia ebbe già un ruolo di rilievo nel fronteggiare l’ondata del 1652, da cui la Sicilia restò indenne grazie ai precetti contenuti nei suoi Consigli Politico-Medici. L’autore concentrava la sua attenzione soprattutto sul fronte esterno, ossia sul controllo delle frontiere marittime e terrestri, un aspetto che prima era stato sottovalutato.

Il “lockdown” nel XVII secolo

Le misure del “resto a casa” di allora furono comunque stringenti. Vennero chiuse delle zone della città e sorvegliate in entrata e uscita, data la conformazione della città in aree circoscrivibili da vere e proprie porte di passaggio (oggi ne sono sopravvissute molte). I non palermitani che volevano uscire dalla città dovevano esibire una benda bianca al petto e passare obbligatoriamente un periodo di quarantena prima di entrare altrove (30 giorni di purificazione e isolamento e altri 10 prima di essere dichiarati “liberi). Venne tamponata la diffusione della peste anche se il costo in termine di vite fu comunque tragico.

La peste miete vittime in tutta Italia

La peste del XVII secolo segnò violentemente tante altre grandi città italiane. Alcune tragedie sono state ampiamente descritte nella grande letteratura nazionale, come Milano; non mancano altre devastazioni senza precedenti come nel caso di Venezia (50 mila morti) e di Napoli (quasi 290 mila morti). Palermo, anche grazie alle sue speciali leggi sanitarie, riuscì ad arginare il numero delle vittime a circa 10 mila, a fronte di una popolazione che era cresciuta molto raggiungendo gli oltre 130 mila abitanti.

Il pittore Van Dyck “bloccato” a Palermo

Nell’efficace lockdown palermitano rimase “incastrato” anche un ospite illustre come Antoon Van Dyck, il pittore fiammingo che, segnato dall’esperienza palermitana, inaugurò l’iconografia di Santa Rosalia, l’ultima delle sante protettrici del Capoluogo siciliano, divenuta tale proprio per i miracoli attribuiti tradizionalmente a lei nella sconfitta della peste a Palermo.

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Santa Rosalie intercede per la Città di Palermo

L’origine dell’iconografia di Santa Rosalia

Van Dyck era arrivato a Palermo come affermato “artista di corte” nel 1624 su invito del viceré. Il pittore fiammingo, certamente addolorato per la situazione in città, fu confortato – come tanti palermitani allora – dalla speranza nell’aiuto divino. Il ritrovamento di resti di ossa, attribuite dal cardinale Giannettino Doria a Santa Rosalia, fu per molti la luce in fondo al tunnel. Le reliquie della donna vissuta diversi secoli prima furono portate in processione nel 1625, quando i casi di contagio si erano nettamente abbassati: e così la “Santuzza” salvò la città. Van Dyck decise di dipingerla mentre vola gloriosamente sopra la città sostenuta dagli angeli cherubini. E fu così che il la drammatica permanenza dell’artista divenne l’origine dell’immagine, di fatto immutata nei secoli, di una donna giovane e bella, dai lunghi capelli e con lo sguardo rivolto al cielo: la Santa Rosalia che viene tutt’oggi celebrata e osannata dai Palermitani per aver sconfitto la peste.

L’epidemia più famosa della storia palermitana: la peste e le ossa della “Santuzza” ultima modifica: 2020-04-21T19:17:27+02:00 da Daniele Monteleone

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