Giuseppe Borgese e la narrazione della magnifica delusione

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Giuseppe Borgese e la narrazione della magnifica delusione

Giuseppe Antonio Borgese

Giuseppe Antonio Borgese nasce a Polizzi Generosa, un piccolo paese del palermitano, nel 1882 in pieno fermento nazionalistico. È dopo essersi iscritto alla facoltà di giurisprudenza a Palermo che emigra in Nord Italia per frequentare l’Istituto di Studi Superiori di Firenze, e seguire la sua passione: la Letteratura.  Si laurea nel 1903 con una tesi intitolata “Storia della critica romantica”, acclamata e recensita positivamente, tra gli altri, da Benedetto Croce.

Giuseppe Antonio Borgese

Giuseppe Antonio Borgese, archivio fotografico fondazioneborgese.it

Siamo in un quel periodo di acceso nazionalismo a sostegno dell’entrata in guerra dell’Italia. Durante gli anni appena successivi agli studi universitari Borgese intraprende diverse collaborazioni con importanti testate giornalistiche. Fa da corrispondente e svolge una serie di impegni diplomatici con altre rappresentanze territoriali confinanti con l’Italia per la causa antiasbrugica.

Siamo tra il 1918 e il 1920. Defilatosi dalla vita politica in seguito all’estromissione dal quotidiano Il Corriere della Sera per motivi ideologici, ottenne la cattedra di estetica e storia della critica a Milano. Si trattò di uno scontro basato sul tentativo teorico di Borgese di costruire una piattaforma di trattativa che permettesse la formazione di un grande stato slavo – che di fatto sarà la Iugoslavia – tanto osteggiato dai delusi della “vittoria mutilata”. Sarà in questo contesto che scriverà di Rubè, in un romanzo così vero che solo successivamente sarebbe stato molto apprezzato dalla critica – nonostante i pareri già positivi di alcuni autorevoli contemporanei.

L’opera che lo consacrerà tra i grandi autori italiani

Giuseppe Borgese rappresenta con il suo lavoro più significativo un periodo storico di particolare inquietudine, al nascere del fascismo. Borgese parla di questo tempo turbolento attraverso il personaggio della crisi dei valori: Filippo Rubè, uno dei ritratti più influenti e importanti dell’intera narrativa italiana.

Partiamo col dire subito che la considerazione attuale di Borgese, non al pari di altre grandi personalità – oggi studiate per fama più che per contenuti – non gli rende giustizia. Rubè – il titolo dell’opera – racconta di un giovane avvocato siciliano, che non avverte l’ambiente circostante – il piccolo paese di Calinni in Sicilia dove vive – all’altezza delle sue possibilità e stimolante per un “personaggio” come lui. Per questo disagio cerca gloria fuori da questa realtà opprimente e inadatta. Trova il suo habitat nella Capitale, e sarà qui che entrerà in collaborazione con un noto avvocato romano, con cui lavorerà in uno studio privato.

All’orizzonte sopraggiunge la Grande Guerra, per il Rubè un’occasione di riscatto e rinvigorimento dal torpore che lo avvolgeva nella sua modesta, seppur sicura, sistemazione. Lui, interventista convinto, non perde questo treno e si arruola come volontario nell’Esercito italiano. Rimasto deluso dal Conflitto, per risultati personali e per le motivazioni mancanti «nel profondo del cuore» dei soldati, sarà progressivamente demolito da dolorose sconfitte emotive. Saranno il fallimento matrimoniale alla morte della compagna e amante, annegata durante una gita in barca, a opprimerlo.

Alpini - Grande Guerra

Alpini italiani in marcia – Corriere della Sera del 1 dicembre 1917

Tenterà senza successo di tornare nel paese natio per l’insoddisfazione crescente anche lontano da casa. Amara è anche la sua fine, e paradossale per certi aspetti: finirà ucciso a Bologna nel mezzo di uno scontro tra operai e Forze dell’Ordine a cavallo, durante un’agitazione socialista dentro cui era finito accidentalmente.

La parabola di Rubè, l’insoddisfazione di una generazione

All’interno di questo turbine di eventi spiacevoli, il personaggio creato da Borgese è in costante ricerca di obiettivi grandiosi e irraggiungibili. Saranno le tante riflessioni introspettive che lo porteranno ad annullarsi e rendersi, in un certo senso, mai abbastanza per ciò che lo circonda. Le ambizioni impossibili vanificheranno continuamente i tentativi di riuscita “completa” nell’esistenza del protagonista. Rubè ha coscienza di se stesso e consapevolezza di quale crisi lo stia attanagliando. È infatti un intellettuale che soffre e si autodistrugge con la sua stessa immaginazione. È vittima della continua non coincidenza, della mancata occasione di “redimibilità” che tanto necessiterebbe ma che per natura e per propensione non otterrà mai. Si tratta di una grande metafora, come tante, dell’illusione politica di un’intera Isola, sempre mossa da tumulti, passioni e cadute in picchiata nella malinconia.

Oltre Rubè, il Borgese autore e convinto antifascista

Borgese fu anche compositore di opere poetiche, di racconti, di novelle e di opere teatrali. Nel 1922 pubblicò anche una raccolta, Le Poesie (1922). L’anno successivo pubblicò il romanzo I vivi e i morti, in cui il protagonista, Emilio Gadda, è un altro simbolo di crisi interiore oltre che di un bisogno di isolamento dalle convenzioni sociali. Molte le novelle: La città sconosciuta del 1925, Le belle del 1927, Il sole non è tramontato del 1929, Tempesta nel nulla del 1931.

Scrisse un importantissimo saggio sulla morte per suicidio di Rodolfo d’Asburgo-Lorena, arciduca ereditario d’Austria, La tragedia di Mayerling del 1925. Questo saggio è considerato un modello di giornalismo scrupoloso. Per il teatro invece compose due drammi: L’Arciduca del 1924, sempre sul dramma di Rodolfo, e Lazzaro ancora nel 1925.

Dopo aver rinunciato alla cattedra italiana, in aperto dissenso col regime di Mussolini, nel 1930 emigrò negli Stati Uniti. Lì Giuseppe Borgese continuò la sua attività accademica nell’Università di Chicago. Tornerà solo dopo 18 anni di assenza in Italia. Ritroverà la sua vecchia cattedra di estetica all’Università di Milano, quella lasciata a malincuore ma con orgoglio, «in mezzo a una folla assiepata nell’aula magna e nelle sale attigue» come si legge sui giornali dell’epoca. Tornò anche come critico sulle colonne del Corriere della sera, e si impegnò sul progetto costituzionale del “Committee to Frame a World Constitution”. Questo lavoro gli valse la proposta di nomina al Premio Nobel per la pace del 1952. Sempre nel 1952 vinse l’alto riconoscimento del Premio Marzotto per la critica ma morì improvvisamente a Fiesole, dove si era stabilito, la notte del 4 dicembre di quello stesso anno.

Borgese nel contesto letterario siciliano

Borgese e, soprattutto, la sua opera Rubè, si inseriscono perfettamente nell’atteggiamento che rispecchia quello dei pensatori siciliani a partire dall’ultimo ventennio dell’Ottocento. La negatività, il disagio per il progresso che gli scrittori isolani hanno trasmesso attraverso la delusione storica verso la classe intellettuale siciliana. Un costante pessimismo verso il cambiamento, quasi sempre contraddistinto da conflitti e corruzione – elementi che non contano poco per la fiducia nelle istituzioni – che a fatica riesce a “scollarsi” dalle prospettive tipicamente meridionali. Scetticismo e rassegnazione, sentimenti ormai secolari della storia isolana, prendono il sopravvento ma non la possono aver vinta.

Giuseppe Borgese e la narrazione della magnifica delusione ultima modifica: 2019-03-13T13:23:06+01:00 da Daniele Monteleone

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